Si ritiene possibile in linea generale (occorrerebbe comunque verificare se la Regione ha legiferato in merito).
1) trasformazione.
La trasformazione in oggetto è una innovazione, e si può sfruttare l'art.1120 c.2 così come modificato dalla legge 220/12, poichè riguarda interventi volti a contenere i consumi energetici.
Poichè nel caso di specie l'attuale caldaia è vetusta e a gasolio, il passaggio a impianti moderni a gas metano può essere visto come un intervento volto a contenere i consumi energetici (a prescindere dall'effettivo raggiungimento dell'obiettivo), tra l'altro anche con un miglioramento della tipologia di emissioni inquinanti, tale strada sembra quindi a priori perseguibile.
La decisione è con le maggioranze previste da art.1136 c.2.
Su questo punto occorre considerare che, sebbene non sia richiesto espressamente, è comunque opportuno predisporre una diagnosi energetica: infatti qualora a posteriori non si riscontrasse un contenimento dei consumi, la delibera assembleare risulta nulla e quindi opponibile senza limiti temporali.
E' sicuramente difficile stabilire l'esistenza o meno di tale contenimento poichè non basterebbe fare una differenza fra i consumi post e quelli ante in quanto andandosi a modificare le modalità di utilizzazione (nonchè potendovi essere variazioni climatiche) si potrebbe opporre che è mutato appunto l'uso e quindi si sottraggono banane da pere (cfr. anche cass. 22276/13): ad es. si potrebbe controbatte, che mentre prima vi era una determinata modalità di regolazione (e uguale per tutti) ora ciascuno potrebbe regolare il cronotermostato come meglio vuole.
Se c'è la diagnosi energetica o un APE si può sfruttare la citata L.10/91 art.26 c.2.
La differenza fra C.C. e L10 in sostanza è che con il primo la verifica del risparmio energetico è ammessa a posteriori, mentre con il secondo è necessaria a priori.
2) Alcuni ipotizzano si seguire la via della sospensione del servizio.
poichè l'assemblea è sovrana nella regolazione dell'USO del bene comune, qualora non vi sia dismissione del bene, l'assemblea può deliberare lo spegnimento dell'impianto con le maggioranze espresse dal 1136 c.c.
Il condominio dovrà, in caso di trasformazione, comunque provvedere affinchè i singoli condomini (anche i dissenzienti) possano scaricare i fumi della combustione secondo legge quindi predisponendo idonei canali di evacuazione dei fumi oltre la copertura. Questi canali risulterebbero beni comuni.
La sentenza del Tribunale Roma Sezione 5 Civile del 11 ottobre 2010, n. 19966, contraria alla possibilità di trasformazione, secondo la quale serve l'unanimità, è obsoleta in quanto fa riferimento alla formulazione del 1120 ante riforma del condominio.
Il 1118 c.c. non sembra pertinente, in quanto nel caso in esame non vuole il singolo condomino rinunciare al bene comune e/o sottrarsi al pagamento delle spese per il bene comune (o per parte di esso), nè singolarmente distaccarsi da un riscaldamento centralizzato che continuerebbe ad esistere ed a funzionare, ma viene richiesta una modifica radicale del bene comune: normalmente tale innovazione necessiterebbe di unanimità (1120 c.c. ultimo comma) se anche solo ad un partecipante la comunione fosse poi impedito l'utilizzo del bene; nel caso però sopra già discusso bastano le maggiornaze del 1136 c.2.
La sentenza 27822/08 della Cassazione inoltre specifica bene che i dissenzienti alla trasformazione non possono continuare ad usare l'impianto centralizzato.
La delibera assembleare di trasformazione può essere adottata anche in assenza di progetto, per la realizzazione ovviamente serve.
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9 anni fa
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Motivo: Non specificato